"Dettagli di un sorriso" .... Favola nera
Il processo di decodifica e
interpretazione di un testo complesso, come quello di un romanzo, da parte di
un lettore quasi comune quale io sono, non può dirsi compiuto in qualche giro
di frase, anche perché la lettura effettuata continua a frugare il sottofondo
esperienziale, culturale, il sistema concettuale e immaginativo del lettore che
interroga il testo e se stesso per suo tramite.
Ma io non avrei scritto ciò che
ho scritto e sto per scrivere se non fosse nato un colloquio con l'Autore, il più bello e interessante
che io abbia vissuto in tanti anni di
scrittura e frequentazioni fb, ma anche di discreta partecipazione in corpore agli
incontri letterari, da cui qualcosa ho desunto.
Per esempio che la platea dei lettori è, non
solo, ridotta rispetto alle potenzialità numeriche e alla diffusione delle
competenze strumentali, ma superficiale, fissata sul “mi piace” o “salta”, come
su fb, o sull’applauso che non viene negato a nessuno, qualunque cosa presenti o legga.
Gran parte del pubblico
legge narrativa con lo stesso atteggiamento con cui consuma hotdog da Mc
Donald’s: riempie un vuoto, il vuoto di un momento, che poco dopo si
manifesterà come bisogno di acquisizione o di consumazione di qualcos’altro, con esito
simile al precedente, a meno che il vuoto dell’animo e quello fisico non venga
temporaneamente riempito da alcunché somigli a uno spettacolo, dove ognuno
diventa volta a volta attore e pubblico, celebra la voglia di esibizione
egotistica o gode di riflesso per quella altrui; e brucia così un pezzo del suo
tempo di vita, divenendo “oggetto che gode”: pancia, stomaco, solletico del
corpo tramite le facili sinapsi sottocorticali, mentre fuori da questo alveo è
noia, è palla, è costrizione dentro il tempo lungo della fatica o del doversi
incontrare col proprio sé ignoto che guarda, dunque è inferno da cui velocemente cercare di uscire … Io mi spiego così, l’enorme platea dei lettori
dei gossip: pessima letteratura adatta a stuzzicare curiosità viziose, a
semplificare o a mettere in mora il pensiero razionale, a occupare il vuoto mentale.
Valdo, il
protagonista del romanzo, malgrado il suo livello di istruzione, possiede in
buona misura queste caratteristiche. Per
dirla in altro modo – ma non si può dire tutto subito - tu, Gianni hai ritratto un personaggio la cui
cultura, non solo non riesce a porlo a distanza critica dal reale e da se
stesso, ma lo intrappola sempre più nel non senso, espropriandolo
dell’inquietudine etica autentica, da ogni sentimento mansueto, da ogni
appartenenza umana non abitata dalla ferocia e dal disprezzo.
Se il
tuo occhio e il tuo sentimento si è posato sullo spaccato di mondo dove ciò si
verifica e ha permeato in profondità i legami sociali così da mutarli in cosa
(potere, denaro,violenza e sopraffazione, inganno…), non è perché tu sei cattivo
o mediocre scrittore, ma perché non ritenendo credibili e spendibili certi modelli di apologhi edificanti, per onestà intellettuale devi necessariamente incontrarti
con i Valdo e i personaggi, meno carnei, di contorno, perché sono tipici. Ma se singolarmente considerati sembrano mostri, lo sono solo in sottordine... Insomma non è Valdo il mostro, la mela marcia - benché lo sia come individuo di una morale assoluta - ma mostruoso è il sistema che lo produce e ne alimenta nello stesso tempo la ferocia e la
mancanza di ogni minima forma di empatia umana. E il sistema - che ne seleziona, per dir così, il genoma - si regge sul
possesso, raggiunto non importa come: avere cose per avere signoria sugli
umani, dominare su di essi o distruggerli, anche perché loro e il Valdo sono
replicanti prodotti dalla stessa logica.
È questo, credo, il materiale per la tua favola
nera. Ma come per le favole che finiscono con i lupi che mangiano gli agnelli e
dominano sulle pecore, non si dà catarsi etica né drammatica, perché l’istinto
narrativo dell’Autore sa che “a canzoni
non si fan rivoluzioni”.
Ma si può
mettere in scena l’ironia amara, lo sproloquio etico consolatorio, le
smargiassate e le sviolinate sentimentali per la musica, la passione
strumentale e animalesca per le donne, le farneticazioni dove le aporie e gli
ossimori sono la traduzione verbale degli scollamenti umani e sociali e dell’orrore delittuoso stemperato dalla
fragile consistenza dei replicanti e dal
fatto che la narrazione si mantiene, e
lo deve, sul piano favolistico e letterario da cui era partita.
Tu, questa mise en scène, riesci a
sostenerla in modi che, insistendo sul regime da favola, attingono al tipo di
disperazione che caratterizza certi personaggi beckettiani; riesci in alcuni
tratti a dare flusso quasi di canto, di poesia, come già detto, alla sequela
demenziale dei soliloqui e dei non-sens, così come risulta letterariamente
interessante il calibro ben dosato dell’idioma malavitoso che punteggia
dialoghi e progetti delinquenziali.
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